14 Novembre 2000

 

Donando la vita

I donatori viventi offrono nuove speranze ai pazienti epatopatici

 

Debra Melani
Denver Rocky Mountain News Staff Writer

 

Prima di mostrare una fotografia del suo fegato asportato, Deb Ashe avverte gli ospiti di non fare gli schizzinosi. Uno sguardo a quell'organo grottescamente chiazzato ne racconta la storia.

Un mese fa, questa paziente di Denver non stava solo bussando alla porta della morte – ne stava oltrepassando la soglia.

"Ero ridotta al lumicino," ha detto una magra Ashe, sorseggiando acqua nella sua stanza all'Ospedale dell'Università. "Avevo atteso così tanto. Ero stanca, veramente stanca."

L' epatite C aveva distrutto il fegato di Ashe per più di un decennio. Ed anche gli altri organi cominciavano a funzionare malamente. Quattro anni fa, Ashe probabilmente sarebbe morta, come i circa 6.000 Americani che muoiono ogni anno aspettando un trapianto d’organo, se non avesse avuto un’ altra opportunità: prendere una parte del fegato di sua sorella.

L' Ospedale dell' Università di Denver è stata la prima struttura medica del Paese ad effettuare un trapianto di fegato da donatore vivente in un adulto, quasi tre anni fa. Oggi 58 centri eseguono tale intervento.

L'anno scorso vennero eseguiti 218 trapianti da donatore vivente con un aumento del 300 per cento in un anno, secondo i dati UNOS (United Networks Organ Sharing ndT). E poiché i casi di epatite C -- che rappresentano più della metà dei pazienti trapiantati all'Ospedale dell' Università -- continuano ad aumentare, anche tali trapianti da donatori viventi dovrebbero crescere di numero.

Questo tipo di trapianti è diventato "uno degli argomenti più caldi discussi alle riunioni sui trapianti" dice il Dott. Igal Kam, Direttore della Chirurgia dei trapianti dell' Ospedale dell' Università. "Essi rappresentano probabilmente il modo migliore per incrementare il numero dei donatori.”

“Ai medici non piace mettere a rischio la vita di una persona in buona salute”, dice Kam. “Tuttavia troppo spesso questa sembra l'unica alternativa alla morte di un paziente”.

 

 

 

Negli Stati Uniti quasi 14.000 pazienti sono in attesa di un fegato e ogni anno i fegati donati sono 4.500. Ogni anno circa 1.700 americani muoiono in attesa di un fegato, come dice il Dott. James Trotter, un epatologo dell' University of Colorado Health Sciences Center.

"Ma sono molto meno ora che abbiamo i trapianti da donatore vivente" dice Trotter.

Ashe, i suoi amici e la sua famiglia stavano rendendosi conto ormai che probabilmente non avrebbero fatto in tempo ad ottenere il fegato che stavano aspettando da gennaio. Stavano cominciando ad accettare l’idea della morte. Allora, senza dire nulla ad Ashe, la sorella Kim Nance venne accettata come donatrice vivente.

"Era così malata e non potevo... mi spezzava il cuore, " dice Nance, 44 anni di età. "Non volevo che morisse."

Il giorno seguente, le due sorelle entravano insieme ognuna sulla sua barella in una stanza pre-operatoria e si preparavano ad un intervento importante. "Ero così spaventata," dice Nance, sposata e madre di due bambini. Fu una decisione difficile, ma si trattava di decidere se andare all' ospedale e vedere sua sorella morire o aiutarla a vivere.

I chirurghi resecarono una grossa parte del fegato di Nance. Questo venne portato rapidamente nella sala attigua, dove venne trapiantato ad Ashe.

Nonostante si trattasse di un grosso intervento, l’operazione di Nance si svolse abbastanza rapidamente. Il suo fegato sarebbe ricresciuto ed avrebbe riacquistato il 100% del suo volume in meno di due mesi. Quello di Ashe avrebbe potuto impiegare un tempo un po’ più lungo. Il fegato è l'unico organo interno importante capace di ricrescere, afferma Trotter.

Il gesto di Nance fu più di un piccolo atto di eroismo.

 "Si è creato una specie di muto legame fra noi," dice Ashe, la sua pelle ed il bianco dei suoi occhi ancora gialli per la bile che il suo fegato non riesce a smaltire. Anche se  non può ricordare le sue prime parole alla sorella -- "non mi ricordo della prima settimana in Rianimazione" -- Ashe sa che le sarà per sempre riconoscente.

"Sto festeggiando il mio 46° compleanno. Non lo avrei fatto senza di lei" dice.

Ashe, il cui lungo intervento venne effettuato il 20 ottobre, sperava di essere dimessa dall'ospedale in tempo per il suo compleanno, il 6 novembre. Ma è uscita il giorno successivo, dopo un ricovero di due mesi.

Nance era rimasta in  ospedale per sei giorni soltanto, ma ha detto che le prime due settimane erano state dure, per il  dolore e la stanchezza. Sicuramente non tornerà al lavoro prima di Natale.

“I donatori viventi hanno una percentuale di rischio per complicanze inferiore al 5 per cento e per la morte di meno dell’1 per 1000,” dice Kam.

Da quando la procedura è stata praticata per gli adulti negli Stati Uniti,  è morto un donatore;  due donatori viventi adulti invece sono morti per dei trapianti pediatrici.

 

“Il rischio  può anche essere piccolo, ma c’è sempre”, dice Bob Morse, 55 anni, residente a Denver, un altro paziente affetto da epatite C. Morse ha rifiutato l' idea di accettare il suo figlio più giovane, di 33 anni, quale  donatore vivente, quando ha saputo che fra loro esisteva una buona compatibilità. I donatori viventi hanno bisogno infatti d'una conformazione fisica simile e di una compatibilità di gruppo sanguigno. "Quando ne ho parlato col suo medico, della complessità dell’intervento, delle possibili complicanze, della sua relativa novità e del fatto che non tutti sono sopravvissuti, " dice Morse, non ha potuto farlo. Morse, che è stato posto in lista per trapianto soltanto la scorsa settimana, ha riconosciuto che se la morte fosse imminente, potrebbe vedere le cose diversamente. E comunque i medici probabilmente non avrebbero approvato ancora, adesso, un donatore vivente per Morse. “Il rischio per il donatore vivente è troppo grande se il paziente è ancora in discreta salute tale da essere in grado di aspettare un organo da cadavere”, dice Kam. “L’intervento può rischiare soltanto una vita”, dice. All’estremo opposto, se ad un paziente rimane solo una settimana di vita per un danno multiorgano e respiratorio, un donatore vivente non è accettabile, afferma Kam. Quando ci sono poche possibilità di sopravvivenza per il ricevente, non è lecito far correre inutili rischi al donatore sano. I rischi per il donatore ed il ricevente aumentano poi in modo esponenziale con il diminuire dell’esperienza del chirurgo nella chirurgia dei trapianti di fegato, dice Trotter. Egli cita uno studio del New England Journal of Medicine dove i tassi di mortalità per i riceventi di fegato, nei centri che avevano effettuato meno di 20 trapianti all'anno, erano maggiori del 28 per cento.

 

L' Ospedale dell' Università ha effettuato l'anno scorso 73 trapianti di fegato, di cui 12 da donatori viventi. Le percentuali medie di sopravvivenza sono state del 90 per cento ad un anno e del 79 per cento a cinque anni. Ciò viene paragonato ad un tasso medio nazionale di sopravvivenza nel 1999, dell’ 87 per cento ad un anno e del 74 per cento a cinque anni.

"I chirurghi che non effettuano almeno 20 o 30 trapianti all'anno non dovrebbero imbarcarsi in questa avventura, " dice Kam " Si tratta di una chirurgia difficile che richiede grande esperienza."

 

I trapianti da donatore vivente sono stati effettuati sui bambini sin dagli anni 80, dice il Dott. Michael Narkewicz, direttore medico del programma di trapianto di fegato pediatrico al Children's Hospital di Denver. Si sono trasformati in una necessità nei centri in cui i bambini in attesa di trapianto morivano in numero sempre maggiore.

"Se andate a New York, quasi tutti i bambini trapiantati sono stati trapiantati da donatori viventi," dice Narkewicz. Il Children's Hospital ha effettuato solo un trapianto di quel tipo, nel 1996, dando una parte del fegato di un padre ad un bambino con una improvvisa insufficienza epatica. “Stanno entrambi bene”, dice Narkewicz.

Con i trapianti fra parenti, il rigetto non è un problema, ma l’impiego di un fegato di adulto per un bambino presenta maggiori problemi tecnici a causa dell’incongruenza di calibro fra i vasi, dice.

I bambini da noi non sono stati sottoposti a trapianto da donatori viventi per l’ efficienza del programma di reperimento degli organi, dice Narkewicz. "Non abbiamo avuto nemmeno un decesso fra bambini in lista di attesa per trapianto".

Queste sono buone notizie per Shelley Smith, che sta ascoltando il consiglio dei medici e quindi sta aspettando un fegato intero per suo figlio Russell, di  9 anni.

"Desidero fare quello che i medici mi consigliano come la cosa migliore al momento attuale, cioè aspettare un fegato intero da cadavere" dice la Smith, una residente di Pueblo che vive  al Children's Hospital con Russell.

"Così dobbiamo aspettare che accada una tragedia a qualcun altro. Questa è la parte più dura”, dice la Smith, il cui figlio è nato con una grave malattia al fegato.

"Io ero solito guardare il volo degli elicotteri di Flight for Life e pensavo, ' oh no, chi è il bambino sfortunato?" dice la Smith. "Ora li guardo come una speranza”.

Il suo senso di colpa l’ha condotta più di una volta dai cappellani. Essi la rincuorano, spiegando che la famiglia colpita dal dolore ottiene una certa pace avendo la facoltà di salvare la vita d'un altro bambino. L’intervento di chirurgia epatica su Russell lo salvò quando era un neonato. I primi anni furono difficili, ma sembrava migliorare, dice la Smith. Poi Russell fu infettato da un parassita e l' infezione distrusse il suo fegato già delicato. Se non fosse per il suo colore giallo scioccante, un estraneo non potrebbe capire la gravità del suo stato, intento com’è spesso a giocare con la Play Station  o con i giochi Nintendo nel suo letto d’ospedale.

La sua vita è appesa ad un filo, come quelle di altri 70.000 americani in attesa di un fegato o di un altro organo.

Smith sa che è fortunata ad avere anche l' opportunità di un donatore vivente. Suo fratello è stato accettato per la sua compatibilità.  Statisticamente, una compatibilità viene trovata in caso su quattro, dice Narkewicz.

 "E’ la mia coperta di sicurezza, " dice la Smith. Ma sa che la maggior parte dei bambini ammalati che ha incontrato durante le visite mediche e le degenze in ospedale durante i nove anni trascorsi, non hanno quella opportunità.

 

"Molta gente non si rende conto della gravità di queste situazioni" dice Ashe.

Aggiunge: “non c’è niente come svegliarsi una mattina  e rendersi conto di avere avuto un’altra possibilità. Ho avuto il dono della vita” dice.

 

Debra Melani al (303) 892-2301 o melanid@RockyMountainNews.com.