Mercoledì 16 Gennaio 2002 L’Ospedale
blocca i trapianti dopo la morte del donatore vivente Di
Adam Marcus HealthScoutNews
Reporter Un Ospedale di New York ha sospeso I trapianti di fegato da donatore vivente dopo la morte, avvenuta questa settimana, di un giornalista che era stato sottoposto a tale procedura per salvare il fratello, morente. Il Centro Medico Mount Sinai, uno dei più importanti del Paese nei trapianti da donatore vivente, riferisce che si sta indagando sulle cause della morte del 57 enne Mike Hurewitz, morto il 13 Gennaio, tre giorni dopo aver donato parte del suo fegato al fratello Adam, di 54 anni. I due uomini erano stati sottoposti ad intervento il 10 gennaio, secondo l’Albany Times-Union, il giornale per il quale Mike Hurewitz lavorava. Hurewitz, il cui fratello sopravvive, è il primo donatore vivente deceduto presso quell’Ospedale, ed è il secondo decesso avvenuto negli Stati Uniti da quando la tecnica della donazione di fegato da un vivente si è andata intensificando, a partire dagli anni ’90. “Fino a quando non si sia chiarito cosa è successo, il Mount Sinai ritiene sia più prudente sospendere i trapianti di fegato da donatore vivente adulto ad adulto, che ammontano a circa 35 casi l’anno”: così suona un comunicato dell’Ospedale. I trapianti da donatore vivente per pazienti pediatrici, quelli di rene, ed i trapianti da cadavere non rientrano nella sospensiva, che comunque l’Ospedale definisce “temporanea”. Joan Lebow, portavoce del Mount Sinai, ha riferito che la famiglia Hurewitz ha pregato i responsabili dell’Ospedale di non discutere i dettagli della morte con gli organi distampa. Un medico informato dei fatti riguardanti Mike Hurewitz ha riferito che il paziente sembrava aver avuto una rapida ripresa dall’intervento, e che il giorno stesso del suo decesso aveva fatto alcune telefonate ai suoi parenti. I Medici del Mount Sinai, i più attivi nel nostro Paese nel campo Dei trapianti di fegato da donatore vivente, sino a Settembre 2001, avevano effettuato 150 trapianti di questo tipo, secondo i dati dell’United Network for Organ Sharing (UNOS). Il primo trapianto di fegato da donatore vivente occorso con successo negli USA fu effettuato nel 1989. Da allora ne sono stati effettuati circa 1400, in adulti e bambini. Jon Nelson,. Direttore dell’Ufficio Programmi Speciali dell’Health Resources and Services Administration, deputato alla raccolta dei dati sulle donazioni di organi, ha riferito che il campo dei donatori viventi di rene e di fegato è quello in maggiore espansione, nell’ambito delle donazioni d’organo. L’Ufficio di Nelson è parte integrante del Ministero della Sanità USA (US Department of Health and Human Services) il quale ha fortemente promosso la donazione degli organi. Nonostante ciò tale Servizio è sempre stato restio a incoraggiare quella tecnica da vivente, per il rischio cui sono esposti i donatori. “Il Dipartimento non è mai stato veramente un sostenitore convinto della donazione da vivente” dice Nelson. Nelson riferisce comunque che l’HHS stimola le Società di Medicina che si occupano di tale tipo di tecnica chirurgica a fissare delle linee guida che riducano i rischi per i pazienti. Gli esperti ritengono che il rischio di morte correlato alla donazione da vivente si aggiri tra lo 0,5 e l’1%. Considerando queste percentuali, il numero dei decessi nel nostro Paese sarebbe dovuto essere tra 7 e 14 decessi, valori lontani dai due che sono stati riportati negli USA. Nelson concorda col fatto che quelle percentuali possono essere esagerate. Ammette però che i donatori sono sottoposti a complicanze, a ricoveri prolungati. Nel trapianto da donatore vivente, i medici trapiantano una grossa parte di un organo da una persona sana a quella malata. Entrambi gli interventi avvengono quasi in sincronia. Poiché il fegato ha la capacità di rigenerare, se tutto va bene, entrambi i pazienti avranno un organo nella norma nel giro di qualche mese. I trapianti da donatore vivente hanno lo scopo di ovviare alla grave carenza di organi disponibili per trapianto. Ma, secondo alcuni esperti di etica medica, l’intervento espone una persona sana ad un rischio reale di morte, senza alcun beneficio – se non forse di ordine morale –in cambio. In Latino la frase appropriata è “primum non nocere”, cioè, “per prima cosa non provocare dei danni”. Gli Americani in attesa di trapianto sono più di 18.700, secondo l’UNOS. Nel 2000 sono stati effettuati 4954 trapianti di fegato mentre 1687 pazienti sono deceduti, nel corso di quell’anno, in attesa che un organo divenisse disponibile. Secondo l’UNOS 378 persone, due terzi dei quali adulti, sono stati sottoposti ad un trapianto da donatore vivente, nel corso del 2000. Tra il 1988 e Settembre 2001 i donatori adulti sono stati 737. Il Dr Cosme Manzarbeitia, direttore del Programma Trapianti dell’Albert Einstein Medical Center di Philadelphia, ha riferito che Hurewitz è deceduto verosimilmente per complicanze insorte dopo l’intervento, e non per la tecnica di resezione in sé. “Tale avvenimento può essere del tutto casuale” ha detto Manzarbeitia. Negli ultimi anni Manzarbeitia ha partecipato a circa una mezza dozzina di interventi di trapianto di fegato da donatore vivente, anche se non nel suo Ospedale, che non ne ha ancora eseguiti. “Tali interventi sono tecnicamente difficile” dice” e, dal punto di vista etico, possono essere discutibili”. Nonostante ciò Manzarbeitia pensa che il suo Ospedale è in grado di offrire tale chirurgia e che presto, appena sarà stata identificata la “coppia ideale” ne eseguirà uno. I trapianti da donatore vivente necessitano di una compatibilità sia di gruppo ematico che di volumi dei fegati. |
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