24
maggio 2001
C’è
bisogno di regole nell’impiego dei donatori viventi per trapianto di
fegato.
di
DENISE GRADY
L'
impiego di soggetti in buona salute come donatori viventi d'organo per
quegli adulti che hanno bisogno di un trapianto di fegato sta espandendosi
troppo rapidamente e senza studi sufficienti, secondo un articolo che è
pubblicato oggi sul The New England Journal of Medicine.
Avvertendo
che la sicurezza di tali soggetti può essere a rischio, l' articolo
suggerisce che gli enti governativi o le Assicurazioni private facciano un
passo per regolare la materia. L'articolo è stato scritto dal Dott. Mark
Siegler, un medico eticista e da due chirurghi di fegato, il Dott. David
C. Cronin ed il Dott. J. Michael Millis, tutti dell'Università di
Chicago. Le relative conclusioni si applicano soltanto agli interventi da
donatori viventi per riceventi adulti e non ai trapianti per bambini.
I
chirurghi dei trapianti dissentono sulla richiesta di una regolazione
esterna, sostenendo che gli operatori sanitari sono in grado di valutare
essi stessi il da farsi.
Dal
1997, più di 500 adulti negli Stati Uniti hanno ricevuto un trapianto di
fegato da donatori viventi. Il campo si è sviluppato rapidamente. Nel
1998, per esempio, vennero eseguiti soltanto 25 interventi; nel 1999
furono 131. L'anno scorso a New York, il 30 per cento dei trapianti di
fegato venne eseguito da donatori viventi. Ci si aspetta un ulteriore
incremento, considerata la scarsità degli organi da cadavere,
l’aumentata conoscenza della procedura fra i pazienti ed il globale
successo di tali interventi.
Il
trapianto di fegato in un adulto da un donatore vivente coinvolge due
difficili interventi: la rimozione del lobo di destra del fegato del
donatore, fino al 60-70 per cento dell' organo, ed il trapianto di esso
nel ricevente. La parte restante del fegato del donatore rigenera
completamente entro circa un mese e la parte di fegato trapiantato si
sviluppa con uguale velocità raggiungendo quindi una grandezza normale.
Il
rischio di morte per i donatori è stimato allo 0,5-1 %, ed è maggiore
del 3 su 10000 dei donatori di rene. Ma i medici negli Stati Uniti dicono
fra i 500 interventi fatti in questo Stato, è stato segnalato solo un
decesso.
La
maggior parte dei donatori sono coniugi, fratelli o altri parenti del
ricevente.
L'
interesse nei donatori viventi è aumentato perché non ci sono abbastanza
organi da cadavere per tutti i pazienti. Nel 1999, negli USA, c’erano
14.709 pazienti in lista d’attesa per un trapianto di fegato; circa
5.000 vennero trapiantati mentre 1.753 morirono in attesa di un trapianto.
Molti
chirurghi, i pazienti e le loro famiglie considerano la chirurgia del
donatore vivente una sorta di dono del cielo, perché essa è in
grado di salvare le vite dei pazienti in lista di attesa.
Il
Dott. Siegler ed il Dott. Cronin riconoscono che la pratica del trapianto
da donatore vivente sia importante. Ma, aggiungono, troppi ospedali negli
Stati Uniti stanno praticando questo tipo di chirurgia complessa o stanno
progettando di cominciarla, compresi alcuni Centri che potrebbero non
possedere quell’esperienza necessaria per operare con sicurezza.
Almeno
30 centri hanno effettuato questo tipo di chirurgia e 23 altri stanno
progettando di cominciare, dice il Dott. Siegler. Ma molti di quelli che
già stanno offrendo tali interventi hanno una casistica inferiore ai 10
interventi di quel tipo, numero che gli Autori ritengono non adeguato per
vantare una vera competenza.
Gli
Autori dell’articolo considerano allarmante la veloce proliferazione dei
programmi di trapianto da donatore vivente ed affermano che tali procedure
dovrebbero essere eseguite soltanto in Centri con vasta esperienza di
trapianto di fegato e di altri tipi di chirurgia epatica, ed inoltre con
un numero tale di pazienti da permettere alle èquipes chirurgiche di
mantenere la loro abilità. Gli Autori giungono a ritenere che alcuni
chirurghi e centri medici che iniziano ad eseguire questi interventi,
sarebbero spinti in parte da un desiderio di prestigio e di soldi.
Gli
Autori dell’articolo affermano ancora che l’intervento non è stato
ancora standardizzato nelle sue fasi e che differenti chirurghi usano
tecniche differenti, senza una sicurezza su quale funzioni meglio.
Ugualmente, non ci sono criteri uniformi per la selezione dei donatori e
dei riceventi, e non esistono delle certificazioni per questi programmi di
trapianto.
Gli
Autori ricordano inoltre che non ci sono abbastanza dati di lunga durata
sui donatori e sui riceventi tali da essere sicuri dell’andamento col
tempo. Dubitano che tutte le complicanze ed i decessi fra i donatori siano
stati segnalati.
Negli
Stati Uniti è stato descritto in un caso un decesso fra i donatori. Il
Dott. Siegler ha detto che un collega in Europa gli ha riferito che lì
erano deceduti tre donatori. I decessi tra i donatori viventi sono
particolarmente drammatici, dice Siegler, perché si tratta di soggetti
perfettamente in buona salute che vengono sottoposti ad un intervento
maggiore per aiutare qualcun altro.
"Sospetto
che se avessimo segnalazioni chiare delle complicanze e dei decessi di
tali interventi negli Stati Uniti ed in Europa, scopriremmo che ci
sono più complicanze e decessi di quante sinora riferite" ha detto
il Dott. Siegler.
Il
Dott. Cronin ha detto che i decessi non sono stati descritti nelle
pubblicazioni mediche, dove altri avrebbero potuto trarne un insegnamento.
Il timore di ripercussioni giudiziarie probabilmente ha impedito ai
chirurghi di scriverne.
"Sarebbe
duro riportare l’accaduto in una rivista scientifica, il solo farlo
potrebbe sfociare in un caso di “malpractice” ha detto il Dr Cronin.,
Il
Dott. Siegler pensa che il programma federale di Assistenza sanitaria
statale e le Assicurazioni private dovrebbero richiedere dei programmi di
trapianto da donatore vivente per standardizzare le procedure, per
raccogliere dati di lunga durata sui donatori e sui riceventi, e per
diffonderne i risultati. Ritiene poi che tali interventi debbano essere
eseguiti solo in quelli che egli definisce "Centri di
eccellenza".
Solo
10 o 15 programmi di trapianti negli Stati Uniti risponderebbero ai
requisiti richiesti, ha detto. Ma, ha aggiunto successivamente, “se
l’intervento venisse standardizzato ed i rischi ed i benefici
divenissero più chiari, io penso che una certa diffusione possa essere
ragionevole "
I
chirurghi dei trapianti hanno risposto in modo diverso all’articolo.
Il
Dott. Charles Miller, direttore del Transplantation institute presso il
Mount Sinai Medical Center di Manhattan, ad esempio, ha detto: "Sono
d'accordo sulle grandi linee. Non si desidera questo svilupparsi come un'
erbaccia, ma non si desidera nemmeno arrestare lo sviluppo di tali tipi di
intervento. Si tratta di tecniche d’avanguardia. Hanno bisogno di
evolversi. Penso che la richiesta di una regolazione sia eccessiva. Siamo
in grado di auto-gestirci." Il Dott. Miller ha detto che la Società
Americana dei chirurghi dei Trapianti aveva emanato degli orientamenti di
tipo chirurgico e stava organizzando un registro per i donatori e per i
riceventi. Ma la disponibilità dei vari chirurghi è assolutamente a
discrezione di ciascuno di essi.
Il
Dott. Amadeo Marcos, Direttore del programma dei Trapianti all' Università
di Rochester, ha detto: "L'articolo solleva alcuni punti molto
validi. Noi non conosciamo ancora quali pazienti ne trarranno vantaggio.
Lo si vedrà. "
Il
Dott. Marcos ha detto che è pienamente d’accordo sull’istituzione di
un Registro per non perdere le tracce dei donatori, e che i diversi Centri
dovrebbero essere obbligati a segnalare le complicanze. Ma ha aggiunto che
se tali interventi venissero limitati solo ai grandi Centri, tali
procedure potrebbero allora divenire irraggiungibili per alcuni pazienti.
Inoltre egli non ritiene che sia necessaria una regolazione
dall’esterno"
“Nessuno
sano di mente farebbe ciò che sta facendo se non ce ne fosse il
bisogno.” Dice “Stiamo facendo tutto questo per provare ad impedire ai
pazienti di morire." |